Trasformare i rifiuti tessili da problema ambientale a risorsa di valore

In Europa, ogni cittadino produce circa 11 kg di rifiuti tessili all’anno: è questo il risultato di una ricerca della Commissione europea volta a far luce sull’andamento del post-vita dei prodotti del settore tessile, che come sappiamo è uno tra i più inquinanti al mondo. Basti infatti pensare che secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, gli acquisti di tessili nell’UE nel solo 2017 hanno generato circa 654 kg di emissioni di CO2 per persona.

Dalle indagini condotte dall’UE, emerge inoltre che l’87% dei capi dismessi vengono inceneriti o portati in discarica, senza permettere che possano essere riciclati o riutilizzati, in un’ottica di economia circolare. L’altra parte viene esportata fuori dai confini europei, per diventare rifiuto o essere riutilizzato in altri Paesi, con conseguenze spesso imprevedibili o negative sull’ambiente. A livello mondiale, infatti, meno dell’1% degli indumenti viene riciclato come vestiario, in parte anche a causa di tecnologie inadeguate per poter avviare iter di recupero virtuosi.

È dunque chiaro che per contenere il volume di rifiuti tessili e mettere in atto una gestione del fine vita più intelligente e pulita, siano necessarie nuove regole e profonde riforme del sistema di gestione dei prodotti tessili.

La risposta europea alla gestione dei rifiuti tessili

Per affrontare il problema dei rifiuti tessili, l’UE continua a muoversi nella direzione della regolamentazione del settore, con azioni chiare ma purtroppo ancora in via di evoluzione. Nella primavera scorsa, infatti, la Commissione europea ha approvato la nuova Strategia Europea per il Tessile Sostenibile e Circolare, con cui vuole favorire entro il 2030 la transizione ecologica ed energetica del comparto tessile, con l’obiettivo di renderlo più green e competitivo. Inoltre, per quanto riguarda lo smaltimento dei capi, l’Europa ha deciso che dal 1 gennaio 2025 sarà obbligatoria in tutti i Paesi dell’Unione la raccolta differenziata dei prodotti tessili. Al momento, però, la situazione è ancora incerta e viaggia percorrendo vie differenti da territorio a territorio, dato che ogni Paese può assumere decisioni autonome per dare seguito alla direttiva europea.

In questo contesto, emblematico è il caso dell’Italia che ha deciso di anticipare l’obbligo di raccolta differenziata dei tessili al 1 gennaio 2022, anche se a tutti gli effetti c’è ancora tanta strada da fare. Lo smaltimento dei rifiuti è infatti solo uno dei temi da affrontare per  rendere più corretta e sostenibile la gestione dei tessili post-utilizzo. Lo sviluppo di tali politiche dovrà infatti portare istituzioni e player del settore ad incentivare la creazione di filiere per la gestione corretta dei rifiuti tessili pre e post consumo (dalla raccolta alla selezione della merce, dallo smistamento fino ai primi trattamenti e così via). Non da ultima, la necessità di sviluppare tecnologie apposite, sempre più avanzate, da integrare in impianti e siti specializzati.

I rifiuti tessili in Italia

Secondo il report “L’Italia del Riciclo 2021”, promosso e realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e da FISE UNICIRCULAR (Unione Imprese Economia Circolare), il settore tessile italiano ha prodotto un totale di circa 480.000 tonnellate di rifiuti nel 2019, delle quali circa la metà proviene dall’industria tessile, seguita dalla raccolta urbana che incide sul totale per il 30%. A confronto con il 2010, i rifiuti del settore sono aumentati del 39%, con quelli urbani post-consumo che addirittura triplicano nel medesimo periodo. Fenomeno che secondo il rapporto 2021 è da attribuirsi allo sviluppo costante del “fast fashion” ma anche al miglioramento della capacità di intercettare, in modo differenziato, questa tipologia di rifiuti.

Interessanti sono anche le percentuali relative alla gestione dei rifiuti sul territorio italiani: nel 2019 il 46% dei rifiuti del settore tessile è stato avviato a recupero di materiali, mentre l’11% allo smaltimento; una quota molto rilevante dei rifiuti, circa il 43%, viene invece destinato ad attività di tipo intermedio, come pretrattamenti e stoccaggio per processi industriali destinati al recupero delle materie prime. I numeri per sviluppare progetti di recupero dei rifiuti tessili a favore di una maggiore sostenibilità sembrano esserci, dunque, ma in un mercato ancora tutto da inventare.

La nuova economia dei rifiuti tessili

Secondo il report “Scaling textile recycling in Europe” pubblicato a luglio 2022 da McKinsey, il riciclo dei materiali tessili in Europa più che essere un problema potrebbe diventare un vero e proprio business, con profitti annui che potrebbero passare da 1,5 a 2,2 miliardi di euro entro il 2030, portando alla creazione di circa 15.000 nuovi posti di lavoro, solo nei Paesi Europei. Un’evoluzione incoraggiante, se si pensa che secondo una stima di Policy hub i rifiuti tessili in Europa sarebbero destinati a passare dai 7-7,5 milioni di tonnellate prodotte attualmente a 8,5-9 milioni di tonnellate entro il 2030.

Senza parlare dei vantaggi ambientali. Sempre secondo McKinsey, con l’avvio di un sistema di gestione circolare dei rifiuti tessili, le emissioni di CO2 potrebbero ridursi di circa 4 milioni di tonnellate (in pratica, le emissioni complessive di un Paese grande come l’Islanda). Mentre, quantificando a livello economico gli effetti secondari sul PIL derivanti dalla creazione di nuovi posti di lavoro, dalla riduzione dell’inquinamento atmosferico e dell’utilizzo di acqua e suolo (due delle risorse più sfruttate dall’industria tessile a livello mondiale), l’analisi mostra che questo “nuovo settore” potrebbe generare entro il 2030 dai 3,5 miliardi di euro a 4,5 miliardi di euro.

Che cos’è un rifiuto tessile

Partiamo dalla considerazione che diventa rifiuto un prodotto tessile che viene smaltito perché inutilizzato o inutilizzabile. Ogni capo, però, è costituito da specifici materiali, naturali o sintetici, e può esserne costituito al 100% o in forma mista (quella più difficile da riciclare a livello industriale).

Tenendo conto che per ridurre la quantità di rifiuti tessili immessi nell’ambiente la strada più purista resta sempre quella della riduzione della sovrapproduzione e del consumo eccessivo di capi, esistono altre vie per far sì che la gestione del fine vita dei tessili abbia un minor impatto sul nostro Pianeta: dalla progettazione circolare e intelligente di nuovi prodotti, ad esempio, alla gestione del post-consumo.

Qui le strade diventano molteplici. È infatti possibile riutilizzare e riusare i capi donandoli o rivendendoli, alimentando la moda del cosiddetto “second hand”, oppure seguire il nuovo filone produttivo dell’upcycling (ovvero del riutilizzo creativo di tessili provenienti da capi dismessi o non utilizzabili per crearne di nuovi) e, naturalmente, prevedere il riciclo industriale dei prodotti tessili. In quest’ultimo caso, ad essere recuperata è la fibra tessile di cui è costituito un capo.

Il tema che riguarda le modalità di riciclo è lungo e complesso e meriterebbe un approfondimento dedicato. Nonostante ciò, come afferma il rapporto di McKinsey, una delle scelte più sostenibili e scalabili per il recupero dei tessili è il riciclo da “fibra a fibra”, che permette di trasformare i rifiuti tessili in nuove fibre che vengono poi utilizzate per creare nuovi vestiti o altri prodotti tessili.

Essenziale in quest’ambito è quindi il ruolo ricoperto dall’innovazione tecnologica, per consentire ai processi di recupero di raggiungere i migliori risultati a livello qualitativo e su volumi di larga scala, contraendo costi e consumi. Il rapporto indica infatti che, mentre alcune tecnologie, come il riciclo meccanico del puro cotone, sono da tempo consolidate, altre, come il riciclo chimico del poliestere, sono ancora in via di profondo sviluppo e sperimentazione. Grazie però al progresso tecnologico atteso in questo settore, McKinsey stima che in futuro il 70% dei rifiuti tessili potrebbe essere riciclato da fibra a fibra, mentre solo il restante 30% richiederà forme di riciclo a circuito aperto (cicli che permettono di trasformare materiali scartati in nuovi prodotti di qualità inferiore o con funzionalità ridotte) o l’impiego di altre soluzioni industriali, come ad esempio il riciclo termochimico.

La gestione dei rifiuti tessili in Italia: quali opportunità

Affinché il recupero e il riciclo dei rifiuti tessili diventi a tutti gli effetti un business redditizio per il mercato (pensiamo ad esempio al problema della penuria di materie prime), ma soprattutto per l’ambiente, sono ancora ancora molte le questioni istituzionali e formali da affrontare. Indispensabile è sicuramente stabilire regole specifiche, utili per avviare e supportare lo sviluppo di nuovi modelli di business circolari. Ad esempio, nelle indicazioni contenute nella strategia UE è stata posta l’attenzione sul concetto di  responsabilità estesa del produttore (Extended Producer Responsibility o EPR), ovvero sulla necessità di dare ai produttori la responsabilità finanziaria e operativa della gestione del ciclo di vita dei prodotti tessili e quando diventano a tutti gli effetti dei rifiuti, allo scopo di ridurre l’impatto sull’ambiente, per creare una più corretta e condivisa modalità di gestione dei prodotti destinati allo smaltimento.

Non meno importante, è la creazione di nuove sinergie industriali e commerciali, capaci di incentivare l’applicazione di modelli di produzione circolare e una corretta gestione del fine vita dei tessili. In tal senso, l’approccio proattivo adottato dall’Italia per la gestione rifiuti dei ha permesso la nascita di una serie di speciali consorzi. Ad esempio, nell’ambito del Sistema Ecolight sono nati Ecoremat ed Ecotessili, promossi da Federdistribuzione, dedicati rispettivamente alla gestione dei materassi e imbottiti dismessi e alla gestione dei rifiuti tessili. A questi si aggiunge RETEX.GREEN, consorzio di produttori italiani della filiera Moda, patrocinato da SMI – Sistema Moda Italia e da Fondazione del Tessile Italiano, un sistema collettivo EPR, per la gestione dei rifiuti provenienti dal tessile, dal settore dell’abbigliamento, delle calzature e della pelletteria, al fine di promuovere una maggiore sostenibilità ambientale lungo tutti i segmenti industriali coinvolti.

A supportare gli investimenti in nuove e avanzate tecnologie – che come abbiamo visto, sono indispensabili per poter realizzare i processi di recupero richiesti per il riciclo e la gestione dei rifiuti tessili – viene in aiuto dei produttori anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) del Governo italiano e, in particolare, l’azione di investimento “Progetti faro di economia circolare” della Missione 2, “Transizione Ecologica”, che stanzia finanziamenti per potenziare la rete di raccolta differenziata e gli impianti di trattamento e riciclo contribuendo al raggiungimento del 100% di recupero nel settore tessile tramite “Textile Hubs”.

I presupposti per dare vita ad una nuova sostenibile economia dei rifiuti tessili, salvaguardando l’ambiente, ci sono tutti e pian piano ne vedremo l’andamento. Nel frattempo, è importante non dimenticare il ruolo chiave del consumatore per la costruzione di questo nuovo sistema di valore. La responsabilità istituzionale e delle aziende passa anche dall’impegno personale e ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte promuovendo un nuovo approccio al consumo e uno stile di vita e di azione più sostenibile.

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